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October 28, 2025

Londra, la cabina di regia del mobile commerce

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Erano gli anni in cui il mondo si muoveva al ritmo di Somebody That I Used to Know di Gotye, di Radioactive degli Imagine Dragons, e del battito elettronico di Levels di Avicii.

La musica parlava di trasformazione, di identità in mutamento, di nuovi inizi.
Il suono era digitale, campionato, frammentato — come il tempo stesso che stavamo vivendo.
Nel 2012 e 2013 il mondo aveva smesso di chiedersi se il digitale avrebbe cambiato la vita: stava solo cercando di capire quanto in fretta.

Londra, in quel periodo, era un laboratorio a cielo aperto.
La finanza parlava con la tecnologia, i pub si riempivano di startupper, e l’aria profumava di caffè tostato e di idee in beta-release.
Fu lì che entrai nel cuore di una delle organizzazioni più influenti dell’epoca: la GSMA, l’associazione mondiale degli operatori mobili.
Un organismo globale che, nel silenzio frenetico dei suoi uffici vicino allo Strand, disegnava il futuro della comunicazione e del commercio mobile.

Ogni giorno arrivavano aggiornamenti da Tokyo, Madrid, Helsinki, San Francisco: rapporti, protocolli, proposte di standard.
Tutto ruotava intorno a una parola che sembrava magica: NFC – Near Field Communication.
Tre lettere che racchiudevano un’idea semplice e potente: far comunicare due mondi — quello fisico e quello digitale — con un gesto, un tocco, un avvicinamento.

Nel team di Londra ero arrivato grazie a Nav, con cui avevo condiviso diverse conferenze internazionali negli anni precedenti.
Fu lui ad aprirmi le porte della GSMA, in un periodo in cui la città era un crocevia di innovazione e di persone provenienti da tutto il mondo.
Arrivato poi a Hounslow, iniziai a lavorare fianco a fianco con un gruppo straordinario di colleghi, ricordo tra gli altri: Trevor, James, Wendy e Louise.

Le giornate scorrevano intense tra riunioni, call con i partner in Asia e briefing con le telco europee, ma c’era sempre spazio per la leggerezza e la complicità di squadra.
Spesso, dopo l’ufficio, andavamo a giocare a calcetto nelle gallerie di Liverpool Street.
Uscivamo già vestiti da partita, con il pallone sotto il braccio, e per un’ora tutto il mondo dei progetti e delle scadenze spariva. Alla fine, ci si cambiava direttamente nei pub vicini, tra risate, birre e discussioni su l’ultima demo vista a Barcellona.
Erano momenti semplici ma autentici, che facevano sentire quel team più una crew che un gruppo di colleghi.

James era il Senior Project Manager del gruppo – anche lui passato da Vodafone – preciso, rigoroso, con una mente organizzata e una memoria da orologio svizzero.
Era lui a tenere le redini delle metriche di adozione e dei report con i partner.
Wendy aveva un talento raro: riusciva a trasformare la complessità tecnica in messaggi chiari, umani, immediati, capaci di parlare anche a chi di tecnologia non capiva nulla.
Louise, con la sua creatività e la sua sensibilità estetica, sapeva rendere ogni campagna o presentazione un piccolo evento globale.
Era lei a dare forma visiva alle idee, a tradurre dati e processi in immagini che restavano impresse.

Insieme, lavoravamo alla frontiera tra tecnologia e comunicazione, cercando di rendere visibile l’invisibile: la magia di un chip che trasformava un gesto quotidiano in un’azione digitale.

Nel mio ruolo di Project Manager per la GSMA, ebbi l’incarico di abilitare i protocolli NFC per i grandi eventi internazionali: dal Mobile Money Summit in Italia al Mobile World Congress di Barcellona.

 Nel frattempo, lavoravamo con gli operatori per integrare pagamenti, coupon digitali e sistemi di gioco negli eventi.
Le demo erano vere e funzionanti: i partecipanti potevano riscattare un buono, accedere a un’area VIP, o acquistare un prodotto semplicemente avvicinando il telefono a un lettore NFC.
Ogni azione generava dati, e quei dati raccontavano una storia: il modo in cui le persone cominciavano a interagire con il denaro.


Sembrava un compito tecnico, ma era molto di più.
Si trattava di orchestrare operatori telefonici, produttori di device, istituzioni finanziarie e merchant per creare un linguaggio comune, un ecosistema funzionante.
Un’impresa di diplomazia e ingegneria allo stesso tempo.

Supervisionavo l’integrazione di pagamenti, coupon digitali e sistemi di gioco, trasformando le fiere in esperienze interattive.
Ogni dettaglio contava: la sicurezza, la user experience, la regolamentazione, fino ai materiali promozionali e alla comunicazione below the line.
Seguivo le statistiche di utilizzo, i log delle transazioni, le curve d’adozione.
Dietro ogni numero c’era una piccola rivoluzione silenziosa: migliaia di persone che per la prima volta usavano il telefono come portafoglio.

Uno dei momenti più emblematici fu la distribuzione di 15 000 dispositivi Sony ai membri “Gold” del CMVA Global Congress.
Ogni smartphone conteneva una SIM personalizzata e un’app creata per semplificare pagamenti e micro-transazioni.
In poche ore, quella platea internazionale si trasformò in un esperimento reale: pagare, giocare, accumulare punti, ricevere sconti — tutto con un tap.
Era la prima volta che un ecosistema mobile-finanziario prendeva forma davanti agli occhi del mondo.

Collaboravo anche con Global Platform e EMVCo, i due consorzi che definivano gli standard globali di sicurezza e interoperabilità dei pagamenti.
Lì, tra righe di specifiche e discussioni interminabili su token e chiavi crittografiche, si decideva chi avrebbe controllato il nuovo valore del mondo digitale: le banche, le telco o i costruttori di dispositivi.

La sera, nei caffè di Southwark o tra i lampioni umidi di Covent Garden, l’innovazione diventava conversazione.
Si parlava di mobile wallet, di pagamenti invisibili, di fiducia digitale.
Nel frattempo, a Barcellona, gli stand per il Mobile World Congress prendevano vita: LED, codici QR, schermi interattivi, demo in diretta.
Quando le porte si aprirono, il suono dei beep NFC si mescolò alle note di Get Lucky dei Daft Punk e di Summertime Sadness di Lana Del Rey — la colonna sonora di una generazione che stava imparando a vivere connessa.

Ricordo la scena: centinaia di persone che provavano i pagamenti contactless, i display che lampeggiavano in verde, gli applausi spontanei.
In quel momento capii che non era solo tecnologia: era un nuovo modo di percepire il valore, il gesto, la fiducia.
Il denaro non era più una cosa: era un’esperienza.

Londra, come Istanbul pochi anni prima, era un ponte.
Non tra continenti, ma tra industrie.
Lì, nel vortice della GSMA, la telefonia incontrava la finanza, il design incontrava la sicurezza, e l’economia iniziava a parlare la lingua della connessione.
Non era solo il denaro a diventare mobile — era la fiducia a mettersi in viaggio.

E mentre le luci di South Bank si riflettevano sul Tamigi, si aveva la sensazione che il mondo, finalmente, stesse entrando in una nuova era: quella in cui ogni tocco avrebbe avuto un valore.

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