C’erano anni in cui la televisione italiana stava imparando a respirare di nuovo.
Il digitale terrestre aveva aperto spazi, canali, e soprattutto nuove possibilità.
Era la seconda metà del primo decennio dei Duemila — gli anni dei Nokia con tastiera, dei primi telefoni con fotocamera e Java MIDP, dei jingles pubblicitari che restavano in testa più delle canzoni dell’estate.
Le televisioni si reggevano su tre pilastri: canone, abbonamento o pubblicità.
E la parte free di Mediaset, quella aperta a tutti, viveva e prosperava proprio grazie alla pubblicità.
Fu lì che nacque l’idea – una di quelle che arrivano all’improvviso, in una sala riunioni troppo illuminata, tra un caffè e un monitor CRT acceso su Italia 1:
“E se la pubblicità potesse parlare direttamente al telefonino dello spettatore?”
Ne parlai a lungo con Angelo Pettazzi, che allora seguiva la parte editoriale e le sperimentazioni interattive, e con Antonio Gioia, sempre capace di trovare il modo di far convivere mondi apparentemente lontani: quello tecnico e quello creativo.
Io avevo appena concluso esperienze in altri settori – tra telecomunicazioni e servizi digitali — e vedevo nel piccolo schermo un potenziale enorme, se solo si fosse potuto collegare all’altro schermo: quello del telefono.
L’idea
L’intuizione era semplice ma rivoluzionaria:
inserire nei break pubblicitari un QR code, o meglio un visual code (perché i telefoni dell’epoca non avevano ancora lettori integrati).
Chi lo inquadrava con il proprio Nokia Java MIDP riceveva un messaggio sul telefono: un codice promozionale, uno sconto, un invito a recarsi entro poche giorni in uno store fisico dell’advertiser.
Era un piccolo gioco a tempo, un instant couponing ante litteram.
Il backend – costruito in Java su server dedicati – tracciava le scansioni, validava i tempi, generava i coupon.
Oggi lo chiameremmo phygital, ma allora era ancora un termine senza nome: un ponte tra TV, mobile e mondo fisico.
La televisione, per la prima volta, non era più solo un mezzo di comunicazione: diventava un attivatore di comportamento.
La sperimentazione
Mediaset, divisione DTT, accolse la proposta con curiosità.
Angelo curò la parte narrativa e di integrazione nei palinsesti; Antonio gestì la parte tecnica e la relazione con Publitalia ’80.
Le prime prove vennero fatte in orari marginali, tra la tarda sera e la notte.
Lo spot doveva mostrare il codice abbastanza a lungo da permettere la scansione, con contrasti ottimizzati per le vecchie TV a tubo catodico.
Il codice veniva “fotografato” dal telefono, inviato al backend e decodificato in remoto: lento, ma funzionante.
Ogni test che andava a buon fine era una piccola vittoria.
Si parlava di “interazione sincrona TV–Mobile” — un concetto che oggi ci sembra scontato, ma che allora aveva il sapore della frontiera.
Le canzoni di quei giorni
Fu un periodo di transizione anche nella musica:
nelle radio passavano Coldplay – Speed of Sound, Madonna – Hung Up, Nelly Furtado – Maneater, e in Italia Negramaro e Tiziano Ferro iniziavano a farsi strada.
Brani che parlavano di cambiamento, di velocità, di identità nuove.
Ogni prova in studio sembrava avere quella colonna sonora implicita – un battito elettronico che raccontava un mondo in movimento.
Gli ostacoli
I limiti tecnici erano tanti:
- le fotocamere dei telefoni erano lente e senza autofocus,
- non esistevano app store,
- i costi di connessione erano ancora alti.
Ma la visione era più forte della tecnologia.
Anche se lo spot con QR code rimase una sperimentazione, fu un atto di fiducia nel futuro, un esercizio di immaginazione che anticipava la convergenza tra media, marketing e servizi.
Da lì in avanti, tutto sarebbe stato clickabile.
Riflessione finale – Dal codice allo scontrino digitale
Guardando oggi quel periodo, sembra quasi l’alba di una nuova economia dell’attenzione.
L’idea che un segnale video potesse generare un’azione nel mondo reale fu il seme di ciò che, pochi anni dopo, sarebbe diventato mobile commerce.
Gli stessi codici che leggevamo dallo schermo televisivo sarebbero comparsi sui cartelloni pubblicitari, sui biglietti dei trasporti, persino sulle vetrine dei negozi.
E, come sempre accade, la curiosità tecnologica aprì la porta al valore economico.
Se un QR poteva trasferire un’informazione o un incentivo, perché non anche un pagamento?
In quegli anni i primi esperimenti bancari iniziarono a esplorare l’idea del mobile payment, dai micropagamenti via SMS alle carte contactless integrate nel telefono.
Il passo successivo – naturale, inevitabile – fu immaginare che il medesimo gesto con cui si inquadrava un codice potesse essere usato per pagare.
Così, da quella piccola finestra televisiva con Angelo e Antonio, nacque un pensiero più grande: che la tecnologia non servisse solo a vedere, ma a fare; non solo a informare, ma a trasformare i gesti quotidiani in esperienze digitali.
E mentre sullo sfondo tornavano i Coldplay a cantare
“Lights will guide you home”,
le luci non erano più solo quelle della TV —
erano le luci dei display, delle vetrine connesse, delle prime app bancarie che avrebbero reso possibile un futuro dove la moneta stessa diventava informazione.











