Tecnologia, dignità e connessioni umane per il mondo rurale
Non tutte le reti servono a vendere o trasmettere immagini.
Alcune nascono per salvare vite, per portare conoscenza, per unire luoghi lontani.
Fu così che, a metà degli anni Duemila, iniziai la mia collaborazione con le Nazioni Unite, attraverso OCCAM – Observatory on Digital Communication and Multimedia, agenzia con status consultivo presso l’ECOSOC e guidata da Pierpaolo Saporito.
Da Milano a Parigi, da Ginevra a Tunisi, il programma Infopoverty aveva un obiettivo chiaro e ambizioso: usare le tecnologie dell’informazione per ridurre la povertà, migliorare l’accesso alla salute, all’educazione e all’informazione, e dare voce alle comunità isolate.
I mesi di Ginevra: la preparazione
Tutto cominciò a Ginevra, nella sede ONU dove si stavano preparando le prime linee guida del World Summit on the Information Society (WSIS).
Era un ambiente febbrile, in cui si intrecciavano visioni geopolitiche e speranze concrete: i rappresentanti dei Paesi africani parlavano di connessioni rurali, i delegati asiatici discutevano di telecentri comunitari, gli europei di governance della rete.
Nel corridoio tra una plenaria e l’altra, si sentivano parole come digital divide, empowerment, sustainability.
Fu lì che prese forma il progetto dell’ICT Village, un modello sperimentale pensato per portare educazione, cure mediche e servizi digitali nelle zone rurali grazie a connessioni satellitari, energia solare e formazione locale.
Da Ginevra partì anche il mio coinvolgimento diretto con OCCAM: il mio ruolo era quello di ICT Specialist, incaricato di studiare soluzioni tecniche replicabili, leggere ma efficaci, capaci di operare anche in contesti senza rete stabile o corrente elettrica continua.
Dalla teoria alla sabbia: le missioni in Tunisia
Nei mesi successivi, il progetto prese corpo.
Visitai più volte la Tunisia, insieme ai rappresentanti del National Solidarity Fund (2626), per identificare i siti pilota.
Ricordo ancora le giornate passate nel villaggio di Borj Touil, poco a nord di Tunisi: una distesa chiara di sabbia e case basse, con un piccolo centro comunitario dove la luce arrivava da pannelli solari e la connessione via satellite da una parabola installata su un tetto di lamiera.
Il progetto prese il nome di ICT Village Model of Borj Touil — un laboratorio di sviluppo sostenibile che univa energia pulita, educazione digitale, telemedicina e formazione imprenditoriale.
Ogni visita era un passo avanti: installazioni, test di rete, formazione degli operatori locali, piccoli momenti di festa quando la connessione si accendeva e appariva la prima pagina web.
Era il simbolo perfetto di ciò che la tecnologia dovrebbe essere: un ponte, non un confine.
WSIS, Tunisi 2005 — “Connecting the Unconnected”
Il 16 novembre 2005, nella sala Bizerte del Kram Centre di Tunisi, durante il Infopoverty Seminar @ WSIS, presentammo il progetto al mondo.
Sul palco c’erano rappresentanti di UNESCO, ITU, UNDP, ESA, World Bank, e ministri di vari Paesi.
Io intervenni come ICT Specialist per descrivere il funzionamento e la replicabilità del modello, affiancato dal Segretario di Stato tunisino Omar Ben Mahmoud.
La sala era gremita, e fuori, tra i padiglioni del vertice, si respirava un’atmosfera che mescolava politica e utopia.
Nel programma ufficiale figuravano anche i Solar Villages in Honduras, il progetto Navajo Nation negli Stati Uniti, e le iniziative di tele-educazione sostenute dalla University of Oklahoma e dal Dipartimento dell’Educazione USA.
Il nostro progetto tunisino fu accolto come un modello concreto di ciò che l’ONU chiamava digital inclusion: una tecnologia pensata per gli ultimi, non per i primi.
Il motto che campeggiava sugli schermi del WSIS era semplice:
“Connecting the Unconnected.”
Ma quella frase, a Tunisi, non era uno slogan: era un impegno condiviso, la consapevolezza che una connessione può cambiare un destino.
L’orizzonte umano della rete
Lavorare su quei progetti mi cambiò profondamente.
Capì che la vera innovazione non è quella che conquista i mercati, ma quella che abbraccia l’umanità.
Ogni satellite acceso sopra un villaggio, ogni email spedita da un centro scolastico rurale, ogni immagine ricevuta da un medico locale rappresentava un piccolo passo verso una forma di uguaglianza digitale.
Da allora, quando penso alla parola rete, non vedo più cavi o frequenze, ma volti.
Persone che usano la tecnologia non per consumare, ma per costruire speranza.
Fonti e riferimenti
- OCCAM – Infopoverty Seminar @ WSIS 2005, documento ufficiale ECOSOC (Tunisi, novembre 2005).
- ICT Village Model of Borj Touil, progetto congiunto OCCAM – National Solidarity Fund Tunisia.
- Preparatory Work at WSIS Geneva 2003–2004 — documenti e workshop ONU pre-summit.
- iarlori.com/keynotes-200x — Conferenze e interventi internazionali tra ICT e cooperazione ONU (2000–2009).











