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October 13, 2025

Le comunità dell’ingegno: dall’IETF ad AICA e i2u

C’erano stati gli anni delle macchine e dei laboratori, i giorni trascorsi tra calcolatori e idee, tra Pregnana e Cupertino, tra le visioni di Olivetti e i sogni dei pionieri di Unix.
Avevo imparato che la tecnologia può nascere nei garage o nei centri di ricerca, ma cresce solo quando trova una comunità pronta ad accoglierla.
Fu così che iniziò una nuova tappa del mio viaggio: quella dell’associazionismo, dei gruppi di utenti, dei circoli dove la conoscenza non si vendeva — si condivideva.

Ci sono viaggi che non si fanno da soli.
Ci sono tappe in cui la tecnologia non basta – serve la comunità, la passione condivisa, la voglia di costruire insieme.
Fu questo lo spirito che mi accompagnò, a metà degli anni Novanta, quando da Cupertino a Milano cominciai a comprendere che dietro ogni grande innovazione c’è sempre un gruppo di persone che decide di mettersi in rete, prima ancora dei computer.

Era il 1995, un anno che avrebbe cambiato il modo in cui il mondo guardava alla tecnologia – e persino al cinema.
Da poco era uscito Toy Story, il primo film interamente realizzato in computer grafica, frutto del genio congiunto di Pixar e del suo visionario leader, Steve Jobs, che in quel periodo non era ancora tornato in Apple ma guidava NeXT e la neonata Pixar.
Nelle vetrine di Fry’s Electronics, lungo la 101 che attraversa la Silicon Valley, Toy Story imperversava ovunque: sugli schermi dei LaserDisc lampeggiavano Woody e Buzz Lightyear, mentre dalle casse rimbalzava quella melodia diventata subito un’icona digitale:

Cantava Randy Newman

You’ve got a friend in meYou’ve got a friend in meWhen the road looks rough aheadAnd you’re miles and miles from your nice warm bedJust remember what your old pal saidBoy, you’ve got a friend in meYeah, you’ve got a friend in me

Fu lì che capii quanto la cultura tecnologica americana sapesse mescolare ingegno e immaginario, matematica e emozione.

Io ero a Cupertino per una serie di incontri tecnici, collegati all’IETF e ai progetti sugli standard aperti. Mesi prima in Italia, per Apple, avevo preparato centinaia di lucidi, ordinati e numerati con cura maniacale con le mie penne colorate, ma quando arrivai al campus, un tecnico mi disse con un sorriso ironico che “il proiettore l’avrei trovato al museo di Cupertino”.
Era una battuta, ma anche un segno dei tempi: la velocità dell’innovazione stava superando quella delle infrastrutture.
In California si progettava il futuro, ma spesso con strumenti del passato.

Ricordo ancora quell’atmosfera elettrica nei corridoi di Apple e NeXT: si respirava aria di sconfitta e rinascita insieme.
Jobs non era ancora tornato a Cupertino, ma il suo spirito aleggiava ovunque – nei poster di Toy Story, nei discorsi sulle interfacce eleganti e sulle macchine che devono sparire dietro la semplicità.
E in qualche conferenza o incontro nei dintorni di Palo Alto o San José, mi capitò persino di incrociarlo davvero, tra un caffè e una demo di NeXTSTEP, con quello sguardo tagliente che sapeva farti sentire dentro o fuori da una visione.

Intanto, nelle sale giochi della Valley, un altro eroe digitale faceva parlare di sé: Dragon’s Lair, il videogioco su LaserDisc, con le sue animazioni cinematografiche e un protagonista che sembrava uscito da un cartoon.
Era come vedere la tecnologia diventare narrazione.
E forse anche quello era un segno: le frontiere fra reale e virtuale cominciavano a dissolversi.

Tornato in Italia, quell’energia trovò casa nell’associazionismo tecnico, Mentre lasciavo pezzi di codice nell’httpd server dell’Università dell’Illinois ad Urbana-Champaign – quello che presto sarebbe diventato il progetto Apache – mi rendevo conto che anche lì, dietro la tecnologia, c’erano persone e comunità, esattamente come in AICA o i2u.

  • In AICA — l’Associazione Italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico — entrai nel Consiglio Direttivo durante la presidenza di Elserino Piol, tra il 1995 e il 1997.
    Piol era un visionario silenzioso, uno di quelli che sapevano ascoltare. Credeva che l’informatica non fosse solo una questione di macchine, ma di persone e conoscenza.
    Organizzavamo serate conviviali al Circolo della Stampa di Milano, dove si parlava di reti, di società dell’informazione, di nuovi modelli d’impresa.
    Erano momenti di confronto, di entusiasmo, di scoperte. C’erano professori, dirigenti, studenti, giornalisti. Parlavamo di Internet come di una promessa e di una minaccia insieme, cercando un linguaggio comune tra chi vedeva solo i cavi e chi intuiva già la rete sociale che stava nascendo. Piol arrivava da Olivetti, contribui a creare Infostrada e quindi Omnitel, persone in grado di cambiare il mondo …
  • Con Assinform, invece, il tono era più industriale.
    Riuniva aziende, integratori di sistemi, produttori di software e hardware. Qui si discuteva di standard, interoperabilità e mercato ICT.
    Era un tavolo più concreto, ma altrettanto necessario per evitare che l’Italia restasse ai margini della rivoluzione digitale. Lanciavamo i primi concetti di e-commerce, quando la parola stessa sembrava fantascienza. I
  • Infine c’era i2u, una sigla che per molti significava poco, ma per noi era tutto: Italian Internet/Unix Users.
    Una comunità informale, nata quasi per caso, cresciuta attorno alla passione per Unix, i sistemi aperti e la libertà di sperimentare.
    Ci incontravamo in aule universitarie, centri di ricerca, vecchi laboratori.
    A volte ci bastava un modem rumoroso, una lavagna e un proiettore che non sempre funzionava.
    Lì si parlava di kernel, di shell, di script e di libertà. Ma più di tutto, si parlava di comunità.
    Ogni volta che un nuovo membro si univa, sentivamo che stavamo costruendo qualcosa che andava oltre la tecnologia: un modo diverso di stare nel mondo.

    In uno di quegli incontri, decidemmo persino di invitare Linus Torvalds, allora poco più che uno studente finlandese, che stava portando avanti un progetto chiamato Linux e stava cambiando il destino dei sistemi operativi. Gli scrivemmo una mail collettiva — semplice, diretta — per proporgli di venire in Italia, a raccontare la sua visione.Non sapevamo se avrebbe accettato, ma solo il fatto di poterlo invitare ci fece percepire quanto Internet avesse davvero accorciato le distanze del mondo. E invece arrivò davvero, con la sua ragazza e quell’aria timida da studente del Nord Europa. Indossava i suoi immancabili sandali con i calzini – rigorosamente bianchi, rigorosamente finlandesi – come se la Silicon Valley e l’Università di Helsinki potessero trovarsi nello stesso laboratorio. Parlava con calma, ma ogni parola pesava.

    Dietro quella semplicità si intuiva una visione: un sistema operativo libero, costruito insieme, da persone che non si erano mai viste ma si fidavano l’una dell’altra.
    Per noi non era una leggenda, era uno di noi: uno che credeva nel codice come forma di libertà. Con Joy Marino, Paolo Mortarino, Gregorio Lerma, Giovanni Ferrero e molti altri si creava la prima rete italiana per accesso ad Internet non accademici.

Guardando oggi a quegli anni, mi rendo conto che l’associazionismo tecnico fu una palestra di democrazia digitale.
Le comunità non avevano budget, né strategie di marketing, ma avevano una cosa che oggi spesso manca: la fiducia reciproca.

Ci si incontrava per imparare, non per apparire.

Ci si scambiava codice, ma anche storie di vita.

Le cene AICA al Circolo della Stampa erano momenti di confronto tra generazioni — i pionieri dell’informatica e i giovani ingegneri che cercavano la propria strada.
Nei gruppi Unix, la meritocrazia non era scritta in un regolamento: la guadagnavi condividendo una patch che funzionava.

Molti anni dopo, quando l’open source è diventato mainstream e l’AI è entrata nelle aziende, ripenso a quelle serate come a un’anticipazione del futuro.
AICA, Assinform e i2u avevano gettato le basi di quella intelligenza collettiva che oggi diamo per scontata.
Allora la chiamavamo “comunità di utenti”; oggi diremmo “ecosistema di innovazione”.
Ma il principio è lo stesso: nessuna tecnologia ha senso senza le persone che la vivono.

Ogni volta che partecipo a una conferenza sull’AI o a un panel sulla trasformazione digitale, mi sembra di rivedere gli stessi volti, la stessa curiosità, la stessa voglia di capire.
Solo che ora i lucidi sono diventati slide digitali, e il proiettore – per fortuna – non è più al museo.

Cronologia essenziale 1993–1997

  • 1993-1994 Cresce la diffusione di Internet e dei primi browser (Mosaic, Netscape). IETF e università discutono nuovi protocolli aperti – USA / Europa
  • 1995 Uscita di Toy Story (Pixar), il primo film interamente in CGI. Steve Jobs è CEO di NeXT e presidente di Pixar – Emeryville, California
  • 1995 Fry’s Electronics (catena tech californiana) espone Toy Story e sistemi LaserDisc nei reparti video; il videogioco Dragon’s Lair torna in auge come icona digitale – Sunnyvale, CA
  • 1995 Partecipazione ad incontri IETF e comunità open systems in California – Cupertino / Palo Alto
  • 1995-1997 Presidenza di Elserino Piol in AICA; attività del consiglio direttivo e serate al Circolo della Stampa di Milano – Milano
  • 1996 Apple annuncia l’acquisizione di NeXT (Jobs rientrerà nel 1997 come CEO) – Cupertino, CA
  • 1996-1997 Attività di i2u (Italian Unix Users) e prime comunità open source italiane – Italia
  • 1997 Jobs torna ufficialmente in Apple. L’Italia discute di “Società dell’Informazione” e avvia iniziative su reti e competenze digitali. Roma / Milano
  • 1998 Nascono i primi progetti open source in Italia su larga scala e le prime community Linux locali. – Torino / Pisa / Milano

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