/

September 12, 2025

Il Viaggio. Storie di Tecnologia e Umanità

Quando la libertà aveva il suono di un vinile

Screenshot 2025-09-12 at 11.20.02

Era un settembre come tanti, con quei piccoli assaggi d’estate che ci regalavano ancora un po’ di calore. L’aria portava già un profumo diverso, quello delle prime piogge e dei libri di scuola che avrei presto dovuto riaprire. Ma per ora, mi godevo il lusso di giornate lente, sospese, come se il tempo avesse deciso di prendersi una pausa con me.

Alla radio imperversava Year of the Cat di Al Stewart. Ogni volta che la ascoltavo mi sembrava di vivere anch’io quell’incontro misterioso raccontato nel testo, un’avventura che profumava d’oriente e di libertà. La mia adolescenza si mescolava così a quelle note, e anche se non ero mai stato un grande appassionato di musica, era impossibile non farsi trascinare da quell’atmosfera.

Dai jukebox della spiaggia uscivano invece brani che parlavano più da vicino alla mia generazione, come Compagno di scuola di Venditti, canzoni che sembravano scritte per accompagnare i nostri primi amori e le nostre timidezze. Ma io e “Madame” – la mia compagna di avventure musicali – preferivamo perderci in Fernando degli ABBA o in You Should Be Dancing dei Bee Gees, che avrebbero presto fatto ballare il mondo intero in Saturday Night Fever.

Nonostante non mi sentissi mai un vero esperto di musica, i vicini erano costretti a sorbirsi le mie sessioni pomeridiane: al ritorno da scuola accendevo la radio e ripercorrevo la Hit Parade di Lelio Luttazzi. Quella voce elegante era diventata un rito familiare, fino a quel dicembre del ’76, quando il programma si concluse, lasciando un vuoto che avrei riempito a modo mio.

Fu infatti grazie a quella passione acerba per l’elettronica e la musica che, con un gruppo di amici, decidemmo di alzare un po’ di più il volume della nostra vita e creare una piccola radio. Eravamo ragazzi con le mani ancora impacciate e gli occhi pieni di sogni, ma volevamo avere una voce nell’etere.

Prima di quell’estate ci eravamo accontentati dei CB sui 27 MHz, con le chiacchiere notturne e i soprannomi inventati. Ma la vera sfida era un’altra: conquistare la banda 88-108 MHz, la stessa delle grandi radio che ci arrivavano dall’estero – Monte Carlo, Svizzera, Austria – e che portavano nelle nostre case un mondo di suoni nuovo e proibito.

In Italia, la legge diceva che solo la RAI poteva trasmettere. Ma noi non avevamo paura di infrangere il silenzio: eravamo convinti che la libertà avesse il suono di un vinile che scricchiola. E così, dopo la storica sentenza del luglio ’76, sentimmo che era arrivato il nostro momento: nacquero Radio Milano International, Radio Bologna 101, Radio Alice. E, nel nostro piccolo, anche la nostra stazione.

Ci serviva un locale: ce lo offrì Alessandro, in una stanza polverosa sotto il tetto, che presto riempimmo di fili, transistor e odore di stagno bruciato. Io e Franco, inseparabile amico d’infanzia, montavamo mixer e lineari con i nostri kit di montaggio. Quelle scatole erano i nostri tesori: resistenze, transistor, diodi allineati come soldatini, con i manuali scritti in un linguaggio che imparavamo decifrando, sbagliando, ridendo.

Le prime trasmissioni duravano poche ore al giorno. Il palinsesto era semplice: musica, dediche, qualche battuta timida al microfono. Eppure l’emozione era immensa: i nostri amici giravano per il paese con piccole radio portatili per testare il segnale. Quando ci dicevano “Vi si sente fino al mare!” era come aver conquistato il mondo.

La mia trasmissione cominciava sempre con Year of the Cat: quella era la sigla, il modo di entrare in scena. Poi scorrevano i brani trovati sulle pagine di Ciao 2001, dai racconti di esperti come Black, un ragazzo appassionato di gruppi inglesi meno noti dei Beatles ma pieni di fascino: Jethro Tull, Genesis, Deep Purple. Ci sembrava di toccare Londra e i suoi club pur restando in una piccola città di provincia.

L’Hammond, con il suo suono inconfondibile, riempiva l’aria. A noi ragazzi bastava pronunciare quel nome per sentirci parte di qualcosa di più grande, di una rivoluzione musicale che arrivava da fuori ma che ormai pulsava anche nei nostri cuori.

La radio, per un’intera generazione, fu questo: un collante invisibile. Un filo che univa i cultori di musica e la gente comune, quelli che ascoltavano dalle loro radioline portatili mentre camminavano per le strade o lavoravano nelle botteghe.

E i luoghi della mia infanzia, tutti affacciati sul mare, sembravano somigliarsi: nomi che si ripetevano da un paese all’altro, chiese dedicate a San Rocco, un “Turchino” che in un posto era un passo di montagna e in un altro ricordava i ragni dannunziani, punte chiamate Chiappa e Penna, con fari e radici di liquirizia da cercare tra le rocce. Paesi diversi eppure simili, come se fossero variazioni di un’unica geografia interiore.

Dopo quell’avventura, approdai a realtà più strutturate, con un nome che suonava già più grande: Radio Lanciano International negli inverni della mia adolescenza, e poi Radio Pisa International nei miei primi anni universitari. Ma la vera libertà, la vera emozione, rimase sempre quella della prima volta: una stanza sotto il tetto, tre ragazzi e una musica che voleva conquistare il cielo.

Ripensandoci oggi, quelle onde radio non erano soltanto un gioco o una ribellione giovanile: erano un modo per sentirsi parte di qualcosa di più grande, un tentativo ingenuo ma autentico di unire persone diverse attraverso le stesse canzoni, le stesse voci, lo stesso segnale che correva nell’aria.

Forse è da lì che nasce la mia convinzione che la tecnologia sia prima di tutto relazione. Allora collegava ragazzi di un piccolo paese al resto del mondo, oggi può collegare generazioni, culture e popoli interi. Non è mai stata solo elettronica, fili o transistor: è sempre stata un linguaggio universale, capace di trasformare un’antenna artigianale in un abbraccio invisibile.

E così, ogni volta che penso al futuro, torno a quei pomeriggi con un saldatore in mano e la musica che ci faceva sognare. La stessa voglia di accorciare le distanze tra le persone continua a guidarmi ancora oggi, con strumenti più sofisticati ma con lo stesso spirito: quello di un ragazzo che, insieme ai suoi amici, cercava di conquistare il cielo con una radio libera.

From the same category